Alla vigilia del vertice straordinario del 4 novembre, i Paesi membri non riescono a trovare un’intesa sugli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2040. Il rischio è che l’Europa arrivi alla COP30 in Brasile senza una posizione comune, minando la sua leadership nelle politiche ambientali globali.

Nell’arena delle politiche climatiche globali, l’Unione Europea si trova attualmente a un bivio cruciale. Mancano solo pochi giorni alla riunione straordinaria dei Ministri dell’Ambiente, fissata per il 4 novembre, e all’avvio della COP30 in Brasile. Tuttavia, i paesi membri dell’UE non riescono ancora a trovare un accordo sul tanto discusso obiettivo climatico per il 2040. “È una corsa contro il tempo“, riferiscono fonti vicine ai negoziati, e il rischio di giungere al consesso internazionale senza un target condiviso è reale e imminente.
Le terre inesplorate delle decisioni clima
Il dibattito interno all’UE si concentra su un tema spinoso: l’utilizzo dei crediti di carbonio esteri per rispondere alle sfide ambientali. Sebbene la Commissione Europea abbia posto un obiettivo ambizioso, ovvero ridurre del 90% le emissioni rispetto ai livelli del 1990, alcuni Stati membri temono che tali misure possano risultare eccessivamente gravose per le loro economie nazionali. La situazione di stallo si protrae da mesi, con termini prefissati già oltrepassati – primo fra tutti, quello di settembre accordato dalle Nazioni Unite. Se i Ministri non giungeranno a una sintesi il 4 novembre, l’UE rischia di presentarsi a mani vuote alla conferenza globale, determinando un pesante colpo alla sua autorevolezza internazionale nel campo delle politiche climatiche. Nel frattempo, altre potenze come Cina, Regno Unito e Australia hanno già delineato i loro nuovi obiettivi.
Una matassa di nodi da sciogliere
Lo scorso 31 ottobre, una delicata riunione a Bruxelles ha visto protagonisti gli Ambasciatori dei paesi dell’UE: obiettivo dell’incontro era spianare la strada per un’intesa. Ciononostante, i nodi principali rimangono ancora complessi da districare, e la speranza è riposta nel vertice del 4 novembre. Per avere il via libera, almeno 15 dei 27 stati membri devono appoggiare la proposta attuale. Alcuni paesi, come l’Italia e la Polonia, ritengono comunque che la soglia del 90% sia eccessiva, mentre altri come la Spagna e la Svezia invocano misure addirittura più drastiche. Singolarmente si valuta anche la possibilità di revisioni biennali per misurare i progressi, tenendo conto di “evidenze scientifiche” e della competitività globale dell’UE. Tuttavia, c’è la preoccupazione che queste revisioni possano tradursi in una “diluizione” degli impegni presi.
Il disaccordo sui crediti di carbonio
Una delle questioni più controverse resta l’uso dei crediti di carbonio esteri. Si tratta di quei diritti acquistati per compensare emissioni impossibili da ridurre internamente. La Francia vede la possibilità di utilizzare tali crediti per coprire fino al 5% del riduzione delle emissioni prevista, ma la Polonia desidera un margine ancora più ampio, fino al 10%. La Germania, più cauta, propone un tetto del 3%. I contrasti sono così accesi che la Commissione aveva suggerito che, dal 2036, l’uso fosse limitato al 3%. Passa il tempo e la ricerca di un punto di convergenza diventa sempre più urgente e imprescindibile. La questione dei crediti di carbonio non è solo una questione tecnica, ma un vero e proprio banco di prova per il delicato equilibrio tra politiche economiche e ambientali nel cuore dell’Europa. Riuscirà l’UE a presentare un fronte unito prima dell’inizio della COP30?”
Fonte: www.rinnovabili.it
